domenica, gennaio 15, 2006

au contraire, Monsieur

Sulla scalinata del ginnasio di Corinto, Diogene uscì dalla botte di legno in cui viveva, e si distese alla luce del sole. Depose la lanterna, accesa come sempre, accanto alla botte e poggiò la testa unicamente sulle proprie mani, trovando assai comodo il marmo degli scalini. Da tempo la sua bisaccia era vuota, un bambino incontrato per caso gli aveva insegnato che si può bere senza catino, mangiare senza una ciotola. E se il sole riscaldava quel corpo magro e segnato dalle privazioni, solo per l’origine e il genere acconsentiva il filosofo a ricevere piacere.

Il sole infatti non chiede, non risponde, il sole non necessita ma dona indistintamente, il sole splende sui giusti e sugli empi, sui profani e sui profeti, sui virtuosi e sui vili, ed illumina la mano del mendicante come quella di un Re. Il sole illuminava in quel momento lui, l’esiliato di Sinope, e nel contempo i sinopesi, condannatisi con la medesima sentenza a vivere entro i confini della città. Non sono un cittadino di Sinope, non sono un cittadino della grecia e non sono un cittadino dei barbari: sono Diogene il Cane, cittadino del Mondo ed esiliato senza patria, rispondeva a chi lo interrogava per le strade dei paesi in cui transitava. Ormai non aveva più fiducia nell’Uomo, che andava tuttavia cercando con la lanterna, e sempre più spesso, nelle pubbliche piazze, interrogava le statue, quale polemico esercizio del chiedere invano.
E mentre lui si grattava dalle pulci con una mano, nudo, sporco e comodamente disteso sul marmo, dalla strada sopraggiungeva il più potente tra i sovrani, l’uomo che possedeva, assoggettava e dominava il mondo conosciuto, Alessandro Magno.
Ed il Re, con ammirazione sincera alla vista del filosofo, della botte che aveva per dimora e della bisaccia consunta e vuota, fermatosi di fronte a lui gli parlò:
“Io sono Alessandro Magno, e tu chi sei?”
“Diogene il Cane.”
“Chiedimi quello che vuoi”
“Spostati, che mi togli il sole.”

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