Il sole infatti non chiede, non risponde, il sole non necessita ma dona indistintamente, il sole splende sui giusti e sugli empi, sui profani e sui profeti, sui virtuosi e sui vili, ed illumina la mano del mendicante come quella di un Re. Il sole illuminava in quel momento lui, l’esiliato di Sinope, e nel contempo i sinopesi, condannatisi con la medesima sentenza a vivere entro i confini della città. Non sono un cittadino di Sinope, non sono un cittadino della grecia e non sono un cittadino dei barbari: sono Diogene il Cane, cittadino del Mondo ed esiliato senza patria, rispondeva a chi lo interrogava per le strade dei paesi in cui transitava. Ormai non aveva più fiducia nell’Uomo, che andava tuttavia cercando con la lanterna, e sempre più spesso, nelle pubbliche piazze, interrogava le statue, quale polemico esercizio del chiedere invano.
E mentre lui si grattava dalle pulci con una mano, nudo, sporco e comodamente disteso sul marmo, dalla strada sopraggiungeva il più potente tra i sovrani, l’uomo che possedeva, assoggettava e dominava il mondo conosciuto, Alessandro Magno.
Ed il Re, con ammirazione sincera alla vista del filosofo, della botte che aveva per dimora e della bisaccia consunta e vuota, fermatosi di fronte a lui gli parlò:
“Io sono Alessandro Magno, e tu chi sei?”
“Diogene il Cane.”
“Chiedimi quello che vuoi”
“Spostati, che mi togli il sole.”

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